23 agosto 2011

Né caldo né freddo

Quanto tempo ancora? Per quanto tempo ancora poteva andare avanti così? Quanti giorni ancora avrebbe aspettato il momento giusto per parlarle, la cosa più giusta da dire, il modo più giusto in cui incominciare, per poi alla fine rimanere in silenzio, per paura che fosse il momento sbagliato, la cosa sbagliata, il modo sbagliato.

Quante notti ancora avrebbe passato, insonni, senza poter dormire, senza voler dormire, con la voglia di stare accanto a lei, di ridere con lei, e, perchè no, di pianificare un futuro insieme a lei. Un po' troppo sdolcinato, forse, pensava tra sè, ma che cosa ci poteva fare. La vita di un frigorifero è una vita di solitudine, in fondo, una vita dura.

Stipato in un angolo fin dal momento in cui vieni al mondo, in un'orribile stanza piena di inutili cianfrusaglie, tutta la vita aveva dovuto assistere al disgustoso via vai di "Loro", uomini e donne, che bevono e ruttano, ingurgitano di tutto con le fauci già piene, fin quasi a strozzarsi, masticando con la bocca aperta, e non sembrano mai sazi. Sempre pronti ad aprirlo, a qualsiasi ora del giorno, sempre pronti a disturbarlo, a non dargli mai tregua, a volte addirittura senza prendere nulla, così, per curiosità, come dicono Loro, come se non sapessero già esattamente cosa gli avevano riposto dentro solo poche ore prima, dispettosi, ignoranti, crudeli, con le loro facce sempre sorridenti, a testimoniare che non gliene fregava niente.

O almeno era questa l'idea che aveva di Loro. Come biasimarlo, in fondo. Bloccato in quel triste spazio, il mondo non lo aveva mai visto. La finestra, che dava su di un balcone dove Loro usavano sostare a lungo per guardare il tramonto, era troppo lontana. Il suo panorama si limitava a quello stesso spazio in cui era prigioniero, alle sue pareti sporche, al suo soffitto pieno di crepe, alla così vicina eppure così irraggiungibile porta, a quella penisola in legno, ospite dei chiassosi fornelli, che spesso lo ammorbavano con il loro terribile gas che lui non sopportava e del quale invece Loro sembrano proprio non poter fare a meno. Mai baciato dal sole, o accarezzato del vento. Mai una volta partecipe di quel Mondo Esterno, da cui tutto veniva ed in cui tutto ritornava, da quel valzer frenetico dal quale non poteva non sentirsi escluso. Chissà come era, là fuori? Bello o brutto, non gli importava poi molto. Gli bastava fantasticare che fosse diverso.

Ma non era tipo da perdersi troppo in queste fantasie. Tutto sommato, il suo cuore era freddo, e freddo sarebbe rimasto, per quanto si sforzasse. Di tanto in tanto sognava e sperava, ma il suo cuore di ghiaccio lo riportava alla realtà dei fatti. Che gli piacesse o no, il suo posto nel mondo era quello, e lui lo aveva accettato, già molto tempo prima.


Neanche la compagnia, ad essere sinceri, era un granchè. I giorni scorrono lenti, specialmente quando non hai nessuno con cui parlare, ed ancor di più quando sei costretto a farlo con qualcuno con il quale ne faresti volentieri a meno. Era una tortura, essere forzati a sentire le inutili ciance degli altri due.

Una, blaterava per tutto il tempo, vantandosi boriosamente, in maniera copiosa e continua, di quanto fosse brava, efficiente, affidabile, di quanti piatti e posate e bicchieri era riuscita a "salvare", come diceva lei, di quanto non ci fosse una sola cosa che non uscisse da lei splendente come fosse nuova, e di quanto fosse di sicuro l'elettromestico preferito da Loro, il prediletto di tutta la Casa. Lui non l'aveva mai sopportata e le lunghe ore passate insieme non avevano certo migliorato le cose.

L'altro, lo aveva annoiato da un bel pezzo con le sue "fantastiche storie", di impasti minuscoli che diventavano giganteschi, grotteschi animali fatti a pezzi che si trasformavano in dorati e bellissimi, verdure crude ed insipide che uscivano croccanti e saporite. Non gli interessavano, non più. Non cambiava mai molto tra una storia e l'altra, e, in genere finivano sempre tutte allo stesso modo. Ma gli piaceva ancora il modo in cui le sapeva raccontare. Gli piaceva la sua passione, la ricchezza dei dettagli, i commenti spiritosi che, a volte, vi aggiungeva; ma, soprattuto gli piaceva l'aria sognante che ancora aveva quando le narrava, che anche dopo tutto quel tempo non se ne era mai andata.


E poi c'era stato il giorno in cui era arrivata lei, il giorno in cui Loro l'avevano portata. Ripensava a quel giorno di continuo, e si puniva per aver all'inizio provato tutto quel fastidio, verso tutto il trambusto e il caos che stava occupando la stanza e guastando la sua breve quiete. Loro, si sa, fanno sempre un gran chiasso, che ci sia un motivo oppure no. Ma tutta la rabbia era svanita, non appena aveva visto lei.

Lei non era simile a niente che avesse mai visto. Il suo essere piccola, il suo aspetto fragile, la sua aria gentile, lo avevano colpito subito. Non era mai fredda, lei.

Ed era proprio questo che lo aveva fatto innamorare. Il suo calore. Lo emanava ogni giorno, ogni volta che Loro la usavano. Ogni centimetro della stanza si riempiva, per qualche minuto, di lei.

Un calore che lui non aveva mai provato lo sfiorava, e lo accarezzava, dolcemente, per pochi istanti al giorno, tanto da fargli venire i brividi, se così si può dire. Calda, e sensuale, quando preparava per Loro quel meraviglioso liquido marrone, con le movenze di una dea e la grazia di un angelo.

Lei non parlava mai. Faceva solo quel rumore. Quel rumore, acre, ma al tempo stesso così dolce per lui, da cui amava essere disturbato, e che avrebbe voluto sentire ad ogni ora.

E quel profumo, Dio, quel profumo così intenso che ogni volta gli risvegliava i sensi. Quel profumo a cui Loro sembrano non far caso, e che per lui era irresistibile.


Quattro settimane erano passate da quel giorno, e lui non aveva ancora trovato il coraggio di parlarle. Come poteva? Lei era tutto ciò che lui non sarebbe stato mai. Cosa poteva mai offrirle? Cosa poteva dare a lei, bellissima, quel grosso e freddo pezzo di metallo e plastica mal plasmata, pieno del tanfo di mille pietanze marcite e muffite, e del caos di tutte quelle schifezze ammassate l'una sull'altra. La propria stessa mansione gli sembrava così inutile, in confronto alla sua, la stessa ragione di esistere gli pareva vuota.


Eppure l'amava. Lei non poteva saperlo, ma lui l'amava con tutto il suo freddo, gigantesco cuore. E l'amava così tanto che per la prima volta sognava davvero di poter uscire da quella stanza, di poter volare, insieme con le mosche cui tanto aveva invidiato le ali, e vederlo, il mondo, in tutto il suo essere strano, e diverso, così diverso da lì, e riderne, con lei. Stare con lei, ai confini dello spazio e del tempo, non essere mai stanchi, mai infelici, mai sazi l'uno dell'altro. Essere liberi, insieme.

Per la prima volta il suo cuore si era potuto scaldare, grazie a lei. E non poteva farlo raffreddare, non voleva farlo raffreddare. Spesso succedeva che qualcosa, qualche cibo di quelli che Loro continuavano a riporvi, andasse a male, distrutto, sopraffatto da quel calore, cosa che faceva ogni volta imbestialire Loro, che minacciavano continuamente di portarlo via ma, pigri com'erano, non lo avevano mai fatto. Tanto a lui non importava; se era malato, non voleva guarire.


Ogni ora, di ogni giorno, provava a trovare le parole, parole che già sapeva, ma che non era in grado di esprimere. Ogni giorno, il suo cuore diventava più caldo, e sempre meno quello che c'era conservato riusciva a resistervi. Quattro settimane erano passate, e dell'acqua, lenta, cominciava a gocciolare fuori dalle sue pareti.


"...E poi quella volta che mi hanno portato quel testo bruciato, tutto coperto di incrostazioni nere, che a vederlo sembrava sarebbero rimaste lì per sempre, ve lo ricordate? Eh, meno male che c'ero io, lì, altrimenti succedeva per davvero! E' venuto fuori così pulito che ti ci potevi specchiare, guarda. Non ho mai visto la Nostra Padrona così felice, ve l'assicuro. Eh, ragazzi, ve lo dico sempre, io sono la migliore, qua dentro, se non fosse per me, Loro nemmeno ci verrebbero, qui in cucina. Dovreste imparare qualcosa da me. Come quella volta che..."

"Dio mio, ma non c'è modo di farla stare zitta?"

Chi aveva parlato? Lui non aveva mai sentito quellavoce. Dentro dì sè, però, lo sapeva, ed era come se l'avesse udita mille volte. Era lei.

Lei stava parlando, e stava parlando proprio con lui.

E lui rispose.

"No." La voce gli tremava un po'. "Proprio non c'è. Ho provato in tutti i modi, ma non ascolta. Sa solo parlare di se stessa e nient'altro"

"Già, l'ho notato. Ma, scusa, tu da quanto tempo è che sei qui?"

"Io?" Era quasi terrorizzato, pietrificato. Ma la sua voce si faceva più sicura. "Neanche me lo ricordo più, ormai. Sono qui dall'inizio, praticamente. E lo cose sono sempre state così. Non un granchè, in effetti. Bè, sì, insomma...voglio dire, almeno, finchè...finchè non sei arrivata tu. Sono felice che tu sia qui, sì, insomma, sono felice di avere qualcuno con cui parlare, dopo tanto tempo"

"Oh, sei così gentile"

"Bè, dai, figurati, e poi tu, tu, sei, così, così brava. E bella, anche."

"Ti ringrazio"

Lei aveva una voce calda. Calda e sensuale, proprio come l'aveva immaginata.

"Scusami se non ho mai parlato finora. E' che sono qui da poco, e sono un pochino timida, anche."

"No, figurati, no, non devi scusarti. Non devi scusarti di niente. In fondo, sono fatto così anch'io"

Lei sorrise. Poi lo chiese.

"Senti, non vorrei essere scortese, o indisponente, o cosa, ma, come...come mai tutta quell'acqua?"

Neanche un secondo si fermò per pensare a come rispondere. Le parole gli uscirono fuori tutte insieme, scivolando via da lui come neve sciolta al sole.

"Io ti amo. Sono innamorato di te dal primo giorno che mi sei comparsa davanti. Questo posto, io, non potevo sopportarlo, lo detestavo con tutto me stesso, ed ora non riesco a farne a meno, perchè ci sei tu, adesso, qui, con me. Il calore che hai, il profumo che hai, solo le uniche ragioni per cui posso dirmi felice di essere qui, ogni giorno. E vorrei poterti portare con me, se potessi, a vedere il mondo, in tutta la sua bellezza, tu ed io, liberi di essere soli, e di esserlo insieme, ed anche se so che questo non è possibile, non mi interessa, perchè se tu sei qui, allora è questo il posto più bello del mondo. La bellezza del mondo è tutta qui, accanto a me, ed allora è qui che io voglio stare."


"Oh, frigorifero, io.."

E poi più nulla.

D'un tratto, una scintilla, un piccolo scoppio. Del fumo. E poi più nulla.

Qualche ora dopo, Loro la portarono via, e non tornò. Il suo profumo rimase ad aleggiare, flebile, per un giorno o due. E poi, lentamente, svanì.


Nei giorni successivi, il frigorifero riprese a funzionare, bene come mai aveva funzionato prima. Il cibo veniva fuori da lui conservato tanto bene da poter vedere le Loro facce fiere, mentre ci si ingozzavano. Dei bei sorrisi distesi.

Era tornato tutto come prima, ma questo non gli più faceva nè caldo nè freddo. Se così si può dire.


Francesco Appoggetti

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