8 aprile 2014

La grande fuga

Spesso ci chiediamo quale sia il significato della nostra esistenza. Il che è solo un modo alternativo di porsi la domanda “che significato ha il nostro presente?” Ovvero quale sarebbe il significato di tutto quello che viviamo, esperiamo nella quotidianità di tutti i giorni, in quello che l’uomo ha chiamato presente? Ebbene cos’è il presente se non una grande fuga dal passato? Ogni azione che compiamo è già finita nell’istante stessa in cui l’abbiamo iniziata, ogni cosa che crediamo presente appartiene già al passato prima ancora che il nostro cervello possa pensare di averla vissuta. In quest’ottica cos’è la nostra vita se non una grande, individuale fuga da noi stessi? Come se ognuno di noi stesse, senza avere neanche il tempo di accorgersene,  stesse scappando da se stesso, da un se stesso passato perlomeno. E ad ogni grande fuga corrisponde un grande inseguimento, che però siamo noi stessi a compiere. È l’inseguimento del futuro, che raggiungiamo nell’istante stesso in cui pensiamo di doverlo raggiungere. Si parla di un futuro ridotto ad istante, come se il presente fosse una compressione di futuro e passato, e noi ci trovassimo nel mezzo, ad inseguire e scappare allo stesso tempo. E cosa fare in questa condizione se non continuare a scappare e inseguire? Non abbiamo scelta: il nome che abbiamo voluto dare alla nostra vita, Presente, ci impone nell’ottica dell’attimo fuggente questa stessa compressione di tempo in un istante, senza possibilità di scappare da questa condizione di fuga. Quale condizione è migliore del grande inseguitore è quale peggiore del grande folle che scappa da se stesso. E noi viviamo così, compressi in questo stato di coscienza dell’istante, con tutta la consapevolezza di un presente, la grande fuga/inseguimento a cui abbiamo dato il nome di vita. E tutto questo smette di avere significato nel momento in cui smettiamo di inseguirci e rincorrerci, come se tre persone al posto nostro fossero tutte nei nostri panni a interrogarsi sulla vita, tutti compenetranti in quello che siamo, eravamo e diventeremo. E assume significato solo quando queste tre persone, in accordo, decidono di continuare la loro corsa, perché si rendono conto che sono loro, che saremmo noi, a dover continuare ad andare avanti. Perché la scelta di fermarci e smettere di interrogarci ce l’avremmo, ma scegliamo di muoverci in quanto esseri pensanti e in quanto soggetti a qualcosa di simile a un movimento cosmico. Una danza se vogliamo, in cui questi tre noi stessi si inseguono e si sfuggono a vicenda. Perché il presente immobile non è né futuro né passato, ma in fondo è come se ci diventasse di istante in istante. Solo andando avanti tutto questo assume un significato. Solo pensandoci siamo in grado di andare avanti.

Jacopo D'Ignazi

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