Le onde si infrangevano lentamente sulla spiaggia mentre il
Sole si affacciava all’ orizzonte, dapprima lentamente, quasi fosse curioso di
vedere cosa c’era su quell’ angolo della Terra che illuminava ogni giorno, poi
sempre più velocemente.
Il giovane archeologo osservò quello spettacolo dall’ alto
delle mura, a meno di un chilometro dalla costa. Lontano, i pescherecci
affollavano quella sezione di mare, seguiti a ruota da stormi di gabbiani.
La luce del Sole arrivò lentamente ad illuminare le rovine.
Si voltò, per osservare un altro spettacolo a cui neanche la stella che
garantiva la presenza della vita sulla Terra assisteva da millenni.
Dopo anni di ricerche, Tian-srom-nan era stata portata alla
luce! Conosciuta nei miti asiatici come la Città Eterna, se ne era supposta l’
esistenza in base ad un documento che la attestava fra le tappe di un
itinerario marittimo che collegava Chang’ er
a Si Yuan.
Era molto meno magnifica di come sembrava dalle leggende, ma
probabilmente c’ era ancora molto da portare alla luce. La città doveva il suo
nome alla fama che aveva, già tremila anni prima, di essere stata fondata
millenni addietro. Secondo la leggenda, fra quelle mura erano vissute
generazioni su generazioni, popoli su popoli.
Eppure eccola lì, la Città Eterna, sepolta sotto la terra
che tutto inghiotte. Duemilaottocento anni di storia erano bastati a farla
diventare un mito, ed infine a scomparire nell’ oblio, soppiantata da nuovi
eventi e nuovi miti.
Era stato per caso che un gruppo di ricercatori aveva ritrovato
una serie di vecchi canti popolari, che ormai quasi nessuno ricordava e, ancora
per caso, fosse stato trovato quel documento che faceva menzione di una città
dallo stesso nome di quella mitologica. Le ricerche erano partite solo anni
dopo, quando si era trovato il luogo ipotetico dove avrebbero dovuto trovarsi
le rovine.
Una città con così bei templi e case, con una cultura molto
elevata per l’ epoca in cui era stata abitata... tutto questo, sparito nel
nulla! È ironico come la Città Eterna sia ora un mucchio di rovine. Ancor più
ironico è il fatto che ci sia tutt’ oggi una città che afferma di essere
eterna, così come faceva Tian-srom-nan. Tutto ciò che aveva la presunzione di
pensare di poter esistere per sempre, non poteva che far ridere un archeologo.
Il giovane, che si chiamava Jean Javeau, l’ aveva imparato
con il tempo. Tutto finisce, tutto scompare. Le montagne diventano pianure, le
città vengono sepolte e riportate (raramente) alla luce millenni dopo... e gli
esseri viventi diventano la base per la vita che verrà dopo di loro. Guardando
indietro nel tempo, la storia si ripete: popoli, culture e istituzioni
crescono, muoiono e poi ritornano in modo diverso. Le religioni si sviluppano,
convincono i loro adepti che sono le migliori finora esistite e che dureranno
in eterno, si creano figure di spicco che sono ritenute essere i messaggeri di
Dio in terra... e poi tutto finisce, lasciando solo a chi vede la verità di
questo gioco il privilegio di capire che c’è un unico Volto dietro tutti i
volti. La storia e il tempo cancellano tutto.
Un minuscolo pianeta, in un minuscolo sistema solare sulla
coda di una galassia che fa parte di uno dei tanti ammassi che popolano l’
Universo. Se siamo così piccoli, perché abbiamo l’ arroganza di credere di
essere le migliori creature esistenti, e soprattutto che esisteremo per sempre?
L’ Universo andrà avanti anche senza di noi.
Eppure, pensò Jean, anche la più piccola forma di vita ha
una sua importanza intrinseca, perché in essa si manifesta quel miracolo
chiamato vita.
Non era senza vergogna che quel giorno era salito in cima
alle mura per osservare un’ antica usanza che secondo le fonti riportate alla
luce caratterizzava Tian-srom-nan.
La cinta muraria era più alta di qualunque edificio della
città, al centro della quale sorgeva un antico tempio che stava venendo
dissotterrato. Si diceva che ogni mattina gli abitanti della città volgessero
lo sguardo verso di esso, per vedere se sarebbero riusciti ad osservare il
prodigio che ogni tanto, senza alcun preavviso, si manifestava all’ alba.
Spinto dal suo inguaribile romanticismo, Jean era salito sulle mura.
Sentì dei passi poco lontano da lui e si voltò. Non molto
lontano da lui c’era una ricercatrice di nome Kathleen Roland, alla quale
cercava da tempo di dichiararsi senza mai riuscirci.
Capendo entrambi il motivo per cui l’ altro era lì, si
avvicinarono ed osservarono il tempio fianco a fianco, senza sapere cosa
stavano aspettando.
Le ombre si diradarono sempre di più, e la luce arrivò al
tempio. Gli scavi archeologici erano uno spettacolo magnifico ed imponente.
All’ improvviso, tutta la parete ad est del tempio era illuminata dal Sole.
Le ombre, che si diradavano sempre di più sembrarono all’
improvviso condensarsi. Dapprima Jean e Kathleen videro qualcosa simile a
vapore fluttuare nella zona opposta della città, poi qualcosa davanti a loro
brillò improvvisamente, in un lampo fugace. I raggi cominciavano ad essere
riflessi da qualcosa a pochi passi dai due giovani. Improvvisi bagliori, che
alla fine cominciarono ad assumere delle sembianze precise. Contemporaneamente,
i vapori nella zona in ombra continuavano a condensarsi, finché Jean e Kathleen
non distinsero un’ enorme creatura (o Entità?) costituita dalle ombre. Era alta
diversi metri, al contempo evanescente e densa, fatta di pure ombre che eppure
erano in qualche modo fisiche. Fluttuava nel vuoto, e aveva due lunghe braccia
sproporzionate. La testa prese lentamente forma. Era animalesca, ma non
ricordava nessun animale che si fosse mai visto sulla terra. Non si capiva se
avesse occhi o no, ma ad ogni modo sia Jean che Kathleen, che avevano
trattenuto il fiato per tutto il tempo, furono sicuri che si stesse guardando
intorno
La luce finì per toccarla, assunse una forma fisica e
diventò una mano di un bianco purissimo e lucente che spuntava dal resto delle
ombre dell’ Entità.
La seconda creatura di luce finì di formarsi a sua volta.
Era grande quanto la prima Entità, e aveva tre braccia: due che fuoriuscivano
dai suoi lati, e una che spuntava dal bel mezzo di quello che avrebbe potuto
essere il petto o la schiena. A differenza della prima Entità, aveva due
escrescenze che ricordavano lontanamente delle gambe. Le ombre a Nord di
Tian-srom-nan fluttuarono verso di essa e completarono la sua apparizione
condensandosi in una testa fatta di ombre, animalesca come la prima, e
altrettanto impossibile da collegare a qualunque essere vivente. Jean pensò
che, se avesse potuto studiare meglio il suo aspetto, avrebbe probabilmente
trovato tracce che riportavano a quasi tutte le categorie di specie viventi. Si
stupì per quella sua improvvisa intuizione, ma non ebbe tempo per pensare ad
altro.
Le due Entità, una di fronte all’ altra, cominciarono a
camminare verso il Tempio.
Kathleen era paralizzata, Jean non sapeva se per lo stupore
o per il terrore. Lui sentiva un miscuglio di entrambi, più infinite altre
piccole sensazioni diverse e contrastanti di fronte a quello spettacolo che
sapeva di ignoto, mistero... di Altro.
« Cosa sta succedendo, Jean?» mormorò Kathleen con voce tremula,
mentre fissava stupefatta le due Entità raggiungere il Tempio.
Le creature si guardarono per un attimo, poi entrarono l’
una nell’ altra. Si creò un vortice di luci e ombre che imperversò per gli
scavi, senza distruggere niente e senza fare rumore. Ogni volta che toccava
qualcosa, essa sembrava sgretolarsi e poi ricomporsi esattamente com’ era
prima.
Un filamento di luce-ombra si allontanò troppo, ed inghiottì
Kathleen e Jean, che urlarono di terrore.
Jean si sentì annullare, ed il suo panico aumentò.
Lentamente, stava scomparendo, e la sua mente cessava di esistere. Sentì di
entrare in un posto sia vuoto che pieno, dove lui era tutto e tutto era lui.
Percepì la presenza di un’ altra coscienza, quella di Kathleen, ed entrò in
piena simbiosi con essa, e con tutti gli esseri che stavano entro un raggio di
qualche centinaia di metri da quelle rovine. Kathleen, Jean, le piante, gli
animali, e tutti gli altri che dormivano nella grossa al campo... tutti loro
respiravano insieme.
Jean sentì la paura e lo sgomento di Kathleen e, poco dopo,
la sua estasi dopo quella fusione con una parte del mondo. Percepì i suoi
sentimenti, le sue emozioni, la felicità quando le ricerche avevano dato dei
frutti, la disperazione quando il suo uomo l’ aveva lasciata per un’ altra
donna dell’ Università dove era andato a tenere un corso, l’ ansia durante la
notte prima della discussione della sua tesi di dottorato, e tutte le gioie, i
dolori, le paure, le speranze e le mille altre emozioni della sua adolescenza
ed infanzia.
Kathleen sentì l’ amore di Jean per lei, un amore che non
trovava il coraggio di confessarle ma che provava da quando frequentavano l’
Università insieme. Era tutt’ uno con lui mentre ricordava l’ amore per il suo
lavoro, le sbornie e le piccole avventure durante la sua carriera
universitaria, le notti prima degli esami passate a studiare perché aveva
creduto di avere la materia sotto controllo, mentre alla fine si era accorto
che non ricordava bene uno o due argomenti, le prime cotte da liceale, ma
soprattutto il senso di inferiorità verso suo fratello morto in guerra che lo
aveva accompagnato per anni e che non aveva mai superato se non pochi mesi
prima...
I due capirono di stare per morire e furono presi dal
panico. Erano immobilizzati, non sapevano più neanche se avevano un corpo, e
tutto quel legame con ciò che li circondava stava scomparendo. Anche loro si
sentivano sempre più assenti ed evanescenti, finché per un secondo, o forse un
millennio, non ci fu che il nulla.
All’ improvviso, due coscienze che condividevano i ricordi e
le esperienze di Jean Javeau e Kathleen Roland presero forma, e lentamente si
resero conto di esistere.
Il mondo fu invaso da colori e forme, e alla fine i due si
resero conto di avere dei sensi.
Si trovavano di nuovo sulle mura di Tian-srom-nan.
Dietro di loro, c’era una creatura con lo stesso aspetto
dell’ Entità di Ombre, ma ora era fatta di luce tranne che nella mano. Dalla
parte opposta della città, l’ Entità di Luce era ora composta interamente da
ombre, se non per la testa.
Da entrambe si liberava una vitalità estrema, esasperata.
Le due Entità si allontanarono l’ una dall’ altra,
dissolvendosi, e nel punto esatto in cui sparirono comparve dal nulla un
giovane albero.
Un’ ultima sensazione raggiunse Kathleen e Jean. Quello spettacolo
si ripeteva ogni giorno, in un diverso posto dell’ universo (o nei vari
universi), e ogni volta Entità creatrici e distruttrici sempre diverse si
scambiavano i loro ruoli per continuare a portare avanti l’ esistenza di tutte
le cose. E, alla fine, nessuna delle due si limitava a creare come nessuna
delle due era totalmente distruttrice.
La Storia è simile ad un ciclo e nel contempo è lineare: sia
Jean che Kathleen ebbero all’ improvviso questa illuminazione.
La Storia è creazione pura ed infinita. Ed è anche
rinnovamento, dunque morte e rinascita. Tutto scompare, niente è eterno, tutto
è parte di qualcosa. Un giorno anche quelle Entità sarebbero scomparse. Proprio
per garantire il continuo della vita, l’ Eternità non doveva esistere.
I due giovani si guardarono, imbarazzati. Kathleen fu la
prima ad abbassare lo sguardo.
Ora, entrambi avevano qualcosa in più. L’ esperienza aveva
lasciato i suoi segni, ed ora era come se una parte di tutto ciò che avevano
toccato con le loro menti fosse rimasto in loro, e viceversa. Ora, Jean aveva
in sé un qualcosa che proveniva da Kathleen (non avrebbe saputo dire cosa, ma
si sentiva diverso rispetto a pochi minuti prima, e che lei era dentro di lui).
Le loro anime si erano incontrate, e si erano condizionate a vicenda.
« Jean...» iniziò Kathleen, incerta su cosa dire. Era da
tempo che cercava di capire quali sentimenti provava per il collega... ma
questo Jean lo sapeva già, ormai. Decise che ci avrebbe pensato in seguito.
L’ esperienza li aveva lasciati con un profondo senso di
pienezza interiore.
Ora il Sole illuminava tutti gli scavi archeologici della
Città dell’ Eternità, dove si era manifestato lo spettacolo che spiegava il
continuarsi della vita. Jean pensò che avrebbe potuto interpretare in mille
modi quello che aveva visto, e spiegare in altrettante maniere l’ identità
delle due Entità, e che ancora non avrebbe colto in pieno l’ essenza di quella
manifestazione.
« Non importa.» concluse Kathleen.
Percependo all’ unisono la volontà dell’ altro. Si voltarono
per osservare un attimo l’ oceano e poi andarsene.
Era una bellissima giornata. Il cielo limpido non era
coperto da nemmeno una nuvola. Presto la temperatura si sarebbe riscaldata.
Jean e Kathleen camminarono insieme verso il campo. Kathleen
era ancora confusa sul da farsi, ma scelse di lasciare che fosse il tempo a
decidere, e che quando avrebbe avuto le idee chiare sarebbe giunto il momento
di dare una risposta a Jean. Per il momento, gli bastava godersi l’ attimo
presente.
Jean, contento di poter passare del tempo da solo con lei,
stette per lo più in silenzio, godendo della sua presenza come aveva fatto in
cima alle mura.
Le onde si infrangevano sulla spiaggia, mentre il Sole si
alzava sempre di più nel cielo.
Michele Giuli
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