Ciò che secondo la società non andrebbe detto, non
verrà detto.
Jack aprì la portiera della macchina e si sedette al posto
del guidatore. Per diversi istanti rimase immobile a fissare le chiavi sul
palmo aperto della sua mano. Era un pomeriggio nuvoloso, e qualche goccia
solitaria cadeva sul parabrezza, infrangendosi in una piccola scia d’ acqua
frastagliata. La strada davanti a lui era ampia e deserta, c’ erano solo le
auto parcheggiate dei vicini.
Da una delle case uscì un giovane della sua età che conosceva.
Lo salutò con la mano e lui fece altrettanto, sorridendo senza sapere. Jack lo
osservò allontanarsi. Non un sorriso imbarazzato, non una traccia di una
qualche timidezza era comparsa sul suo volto. Impossibile che la voce non gli
fosse giunta. Forse non gli importava. Mentre pensava a questo, qualcosa nel
suo cuore si scaldò, come se avesse percepito in quel momento dell’ affetto
provenire dall’ esterno, lo stesso che aveva sentito quando si era accomiatato
dal suo piccolo gruppo di amici.
I suoi vecchi genitori non avevano detto molto quando
aveva fatto le valigie la prima volta. Conoscevano da tempo le sue intenzioni,
e avevano capito che il suo livello di stress era giunto al limite. Forse era
anche colpa sua, che faceva la vittima e nella sua mente esagerava quello che
accadeva intorno a lui. Forse.
Era entrato in casa, aveva fatto pranzo in silenzio,
lasciando presagire che qualcosa era nell’ aria. Una volta finito, aveva
raccattato tutto quello che pensava gli sarebbe potuto servire ed era andato
alla porta.
« Vado a fare quattro passi.» aveva detto. Era il segnale,
quello che lui, scherzando tempo addietro, aveva detto che avrebbe usato quando
sarebbe stato sul punto di partire. Non usava mai quell’ espressione.
I suoi erano rimasti per un attimo in silenzio, poi sua
madre era scoppiata a piangere e suo padre l’ aveva abbracciato forte.
« Non pensavo sarebbe stato così.» aveva detto. « Avrebbe
dovuto essere un momento di sorrisi e saluti, perché tu finalmente ti eri
deciso a partire per conseguire i tuoi obbiettivi, non perché hai quell’ occhio
nero.»
Era rimasto per un altro paio d’ ore, ridendo e scherzando
con i suoi, poi si era alzato dal tavolo attorno al quale si erano seduti tutti
e aveva fatto per andarsene. Ora in casa regnava un’ atmosfera meno triste.
Sua madre si era avvicinata sorridendo e dicendogli che
quel posto sarebbe sembrato più vuoto, ma che era fiera di lui.
Jack li aveva abbracciati entrambi, poi era uscito.
Mise le chiavi nell’ accensione, pensando che forse stava facendo
una cazzata. Lì aveva la sua famiglia, gli amici a cui teneva più di ogni altra
cosa, e una terra che in fondo sentiva di amare. Erano quelle le cose che
contavano, no? Ma lui era stanco di tutto il resto che lo circondava. La sua
ideologia lo portava a tollerare, sapendo che in fondo gli era impossibile
odiare qualcuno. Il suo modo di conoscere la gente lo aveva portato a credere
che in ognuno ci fosse qualcosa di buono, e ne era ancora convinto. Tuttavia
quello non era un ambiente adatto a lui. Non avrebbe potuto restarci a lungo
senza pentirsene.
Pensò al fatto che finalmente se ne stava andando, che
tutti i suoi progetti erano lì, distanti quanto lo spazio che la chiave avrebbe
dovuto percorrere ruotando su sé stessa per accendere la macchina. Dopo un po’,
uno strano senso di euforia lo pervase.
Sorridendo per la prima volta da giorni, mise in moto la
macchina, tolse il freno a mano, ingranò la marcia e partì.
Ripercorrendo con la mente i ricordi della sua infanzia in cui giocava
con gli amici ai giochi sui Pokémon per Gameboy, pensò ridacchiando: “Fuga –
scampato pericolo!”.Michele Giuli
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